IL ROSARIO

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Regia Clara Gebbia ed Enrico Roccaforte
con Filippo Luna, Nenè Barini, Germana Mastropasqua, Alessandra Roca
Costumi Grazia Materia
Disegno luci Luigi Biondi
Produzione Teatro Iaia

C’era una volta Federico De Roberto che raccontava storie sul potere, che cambia forma ma non sostanza…
… e c’era una volta una madre tiranna con quattro figlie che ogni giorno recitavano insieme il rosario…
C’è oggi il nostro Rosario, che tradisce il testo originale di De Roberto eliminando i personaggi esterni alla famiglia, aggiungendo dialoghi, inserendo canti di tradizione o scrivendone di nuovi, cambiando la trama, diventando così una “partitura polifonica teatrale e musicale”.

In un primo momento quando ci siamo imbattuti ne Il Rosario abbiamo colto la possibilità di dar vita a una pièce che fondesse le nostre passioni: musica e teatro. Siamo partiti da un universo sonoro che è quello della “musica di tradizione orale” di cui ci interessa la capacità di raccontare il reale, di essere in profonda connessione col presente, di ispirarsi sempre a ciò che si vive in quel dato momento (lavoro, rito, amore, affermazione di diritti, critica del potere).
Abbiamo quindi creato una partitura musicale che va dal parlato all’intonato, dalla parola al canto. Nello spettacolo compaiono canti provenienti dalla ricerca sul campo, scritti “in stile” e composizioni originali ispirate alla musica del testo.
L’“Orologio della Passione”, tipica struttura testuale dei canti del Venerdì Santo, viene messo in scena con nuova musica e corre in parallelo alla storia della famiglia, scandendo il tempo privato del dolore e quello collettivo della sua condivisione.

La molla che ci ha spinti a tentare di produrre e dirigere uno spettacolo nel momento più critico di tutte le crisi è stata la situazione politica, culturale ed economica italiana in cui il teatro stesso rischia di scomparire soffocato dai tagli, o trattato come elemento di disturbo.
E mentre lavoravamo al Rosario, e ci immergevamo nel mondo derobertiano, abbiamo colto nel testo una metafora attualissima della dialettica oppressiva tra potere immobile e arte come possibile fonte di cambiamento.

La Madre, anche se viene dal passato, parla attraverso frasi berlusconiane e papali (divertitevi a scovarle!) con una specie di “pastiche” dei potenti.
Le quattro figlie, vittime consapevoli, si muovono intorno alla Madre durante il rosario in un “carillon” nel quale si compie il teatrino degli affari, come fossero gli archetipi dell’umanità di fronte al potere.

Uno spettacolo che guarda alla tradizione con riconoscenza, ma che vuole raccontare il nostro tempo e attraversa, nei canti della cultura orale e nelle composizioni originali, i dialetti italiani dal nord al sud, dal siciliano al friulano.

Nell’idea dell’essenzialità del rito abbiamo scelto di mettere in scena pochi segni, dare valore alla luce, lasciare spazio al gesto, alle parole e alla musica.

Oltre ad esercitare l’ironia, grandiosa chiave di lettura del mondo, non ci è rimasto che pregare l’unica preghiera che sappiamo recitare, un canto laico e umano che comincia con De Roberto e finisce con le parole che Pasolini rivolge alla Madonna:

Madonuta (…) Salva il nustri paìs. Salvilu.